Ti sfido a indossare un cuscino, ti sfido a infilarti una maglietta stando a testa in giù, ti sfido a pubblicare una tua foto ridicola. Nomino lei, lui, e pure quell’altro.
I fenomeni virali sono una realtà: si cavalca la loro onda e si entra nel loop, o si ignora e si passa avanti. Oppure ci si indigna per quel che si può.
Il contenuto di chi inaugura una sfida è l’unico contenuto originale: il resto è imitazione.
Si può pensarla in questo modo: i social sono una passerella su cui tutto il giorno ininterrottamente sfilano contenuti. Ma cosa sfila con esattezza?
Semplificando l’infinito mondo digitale, proviamo a distinguere chi sfila in passerella: abbiamo l’haute couture, o in termini di contenuto chi ha qualcosa da dire; poi c’è il prêt-à-porter, in altri termini chi ha qualcosa da mostrare; per finire il fast fashion: chi ha qualcosa da dimostrare.
La prima è l’haute couture: una creazione artigianale e dai tratti caratteristici che richiede tempi lunghi di realizzazione e un grande lavoro di concetto. L’haute couture racchiude un pensiero e una visione precisa, da condividere con chi vuole stare ad ascoltare. Sono contenuti non frequenti – rilasciati in quantità ridotta e a costi elevati – a disposizione di chi li vuole e li sa cercare.
Può piacere, può non piacere. Ma è autentico e originale.
Il prêt-à-porter è alla portata di tutti. È avere qualcosa da mostrare: si fa sfoggio delle proprie capacità, delle proprie qualità, di ciò che riesce meglio. C’è qualità, e da qualche parte forse c’è una storia da raccontare…domani però, oggi non c’è tempo.
Viene a mancare l’originalità: i capi pronti da indossare sono disponibili per tutti. Come quando una ragazza compra un abito per una festa, e trova un’altra ragazza al tavolo accanto con lo stesso abito!
Piuttosto comico: cercano tutti di essere unici, e nessuno lo è realmente.
Ma sui social non importa…e poi, tra sei mesi chi se lo ricorda più!
Infine, c’è l’ultima categoria: i contenuti di chi ha qualcosa da dimostrare (cosa, e a chi soprattutto, non è chiaro); in altri termini, il fast fashion.
Nel Fast Fashion è tutto pronto, low cost, alla portata di chiunque. Circa cinquanta collezioni l’anno si susseguono, creando bisogni a prezzi stracciati. Tutti lo vogliono, e tutti possono averlo.
Questi pezzi economici non sfilano in passerella o su tappeti rossi; li trovi davanti agli specchi del bagno, o in corridoi di case non meglio identificabili. Ed è questa loro semplicità che dà potere e importanza.
Il fast fashion segue le tendenze del momento, copiando i capi disegnati dagli stilisti, e cambiando proposte prima che i difetti vengano alla luce. Una mediocre contraffazione di un contenuto che all’origine magari aveva avuto buone recensioni.
In poche parole: un abito comprato su un sito web che si rovina dopo il secondo utilizzo.
Fondi neutri, personalità versatili in grado di adattarsi al bisogno passeggero: questo è il regno del fast fashion social. Una costante ricerca di approvazione, finalizzata ad affermarsi sugli altri, dimostrando di avere un valore aggiunto…come tutti gli altri.
E chi guarda, cosa vede? Quale contenuto sceglie per il proprio armadio?
L’haute couture costa, non solo economicamente: devi capirla, può essere aggressiva, ti fa pensare. Non tutti sono disposti a dar così tanto spazio a questi contenuti.
Il prêt-à-porter è bello, ne parli, ma non è poi così diffuso. Ne parli con quei due amici, e magari è quel vestito di paillettes che metti a una festa, ma che non puoi indossare tutti i giorni.
Il resto è a più buon mercato. Lo compri, lo indossi, lo getti via – inquinando anche il pianeta. Dopo un anno non ricordi nemmeno di averlo ancora nell’armadio.
L’armadio di ogni utente si basa sulle sue capacità di ascolto e fruizione, oltre che sul gusto personale: un portafogli limitato, e un intero mondo per fare shopping.
Scegli, prova, compra.
Se non piace più, c’è sempre la politica del reso entro 30 giorni. E le mode passeggere di solito durano molto meno.
Altrimenti, il capo si indossa e la sfilata è pronta.
Una didascalia come tacco 12, un filtro come trucco, e si va.
E quando finisce la sfilata? Cosa ci resta quando i vestiti sono nell’armadio, il trucco è tolto, e i fotografi smettono di scattare? Cosa resta, una volta che lo show è finito?
Chi siamo, senza le maschere dei contenuti e quella spinta insensata di condividere ciò che vogliamo che gli altri vedano di noi? Quale risposta possiamo dare alla domanda: chi sei quando nessuno ti guarda?
Nessun timore: non serve conoscere la risposta a questa o ad altre domande. Sui social i riflettori non si spengono mai.
Per ora, nessun rischio di disconnessione.
In foto: un piccolo assaggio del mio armadio.
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